Sono il doppio degli uomini le donne che hanno richiesto il bonus psicologico post-pandemia. E’ soprattutto tra le donne infatti che subito dopo il lockdown si è registrato un malessere di tipo psichico, con sintomi quali depressione e ansia.
La notizia è stata fornita, lo scorso 24 novembre, da Pietro Bussotti, consigliere dell’Ordine degli psicologi dell’Umbria, nell’ambito dell’iniziativa promossa dalle Consigliere di parità della Regione Umbria e della Provincia di Perugia (Rosita Garzi e Giuliana Astarita), dal titolo “Quando lavorare diventa un rischio: donne e occupazione nel contesto contemporaneo”.
Un evento collegato alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2022 che si celebra domani.
Gli effetti della recente pandemia sul mondo femminile, con particolare riguardo al ricorso allo smart working secondo una modalità emergenziale, è stato solo uno degli argomenti approfonditi nella Sala del Consiglio provinciale, grazie all’intervento della sociologa Cristina Sofia, della avvocata Francesca Brutti (del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Perugia) e dello stesso Bussotti.
“Lo smart working o forme di telelavoro – è stato spiegato – possono generare forme di discriminazione indiretta, con particolare svantaggio proprio per le donne che potrebbero ritrovarsi in un binario morto”. Per gli esperti infatti lo smart working, nelle forme in cui è stato utilizzato in pandemia e continua ad essere impiegato a causa della crisi energetica, non promuove l’equità di genere.
Ma non arrivano certo solo da questo versante le note dolenti.
Dati Istat 2018, come ha riferito nella sua introduzione Astarita, riferivano di un milione e 400mila donne oggetto di molestie sul lavoro: “Un dato – ha sostenuto – che deve essere letto dando un valore alla differenza di genere. Ci sono stereotipi duri a morire, molto radicati in ciascuno di noi, e le nuove generazioni devono essere aiutate a destrutturarli”.
“La prima discriminazione sulle donne – sono state le parole di Garzi – inizia quando si discrimina il padre rispetto alla cura dei figli. Non mancano solo i figli, ma mancano le mamme, ovvero le donne che possono e vogliono scegliere la maternità. Dai dati ufficiali sappiamo che le ragazze arrivano più preparate al mondo del lavoro, ma poi non c’è un corrispettivo perché faticano di più a inserirsi e, una volta inserite, risentono del gap salariale, della difficoltà a stabilizzarsi e mantenere il posto di lavoro”.
E poi c’è il capitolo mobbing e stress da lavoro correlato. Fenomeni che, secondo le statistiche, si abbattono maggiormente sulle donne, con un ricaduta negativa sulla tenuta del lavoro e sulle relazioni sociali.
“Aspetti – è stato sottolineato – che troppo spesso si considerano secondari, ma che invece sono solo la punta dell’iceberg”.
Formazione, prevenzione e diffusione della cultura della differenza di genere sono dunque le uniche strade da percorrere per modificare un quadro che, soprattutto in Italia, risulta essere particolarmente allarmante.
“Nei due anni di pandemia le donne sono state più penalizzate – ha riflettuto la consigliera provinciale con delega alle pari opportunità Erika Borghesi –, i recenti rapporti sulle povertà ci consegnano una fotografia drammatica, con donne e minori quali soggetti più colpiti”. Borghesi ha quindi sottolineato il prezioso ruolo della Provincia in questo ambito, esercitato grazie alla funzione che il legislatore, anche dopo la riforma, le ha voluto continuare a riconoscere. Funzione che si esprime anche attraverso il Piano delle azioni positive e di altri importanti strumenti.
“E’ soprattutto nel lavoro che affiorano le debolezze nel riconoscimento delle pari opportunità – ha sostenuto la consigliera regionale Paola Fioroni, vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Umbria -. Serve una forte azione di sensibilizzazione e una nuova forma di cultura del welfare all’interno del mondo delle imprese”.